Nell’articolo “Il colloquio di valutazione: trucchi per sopravvivere” abbiamo analizzato alcuni accorgimenti che ci consentono di essere efficaci nel colloquio di valutazione anche quando questo avviene in remoto.
Tuttavia ci sono alcuni casi che richiedono un’attenzione in più, per il carico emotivo che comportano, non solo nell’interlocutore ma anche in noi.
Mi riferisco a tutte quelle situazioni in cui il collaboratore manifesta delle resistenze nell’accettare la valutazione, per cui noi potremmo percepire una messa in discussione del nostro ruolo o di noi come persona.
Ci sono due categorie di resistenze: la manifestazione sincera di perplessità e il tentativo furbo di “non pagare il dazio”, come si dice dalle mie parti.
La manifestazione sincera di perplessità può essere legata alla poca fiducia in sé, o al bisogno di comprendere gli esempi che abbiamo portato a sostegno della nostra valutazione.
In questo ci aiuta aver dato dei feedback tempestivi durante tutto l’anno, riproporre le situazioni concrete in cui abbiamo osservato il comportamento oggetto della valutazione e come queste si leghino al giudizio che stiamo esprimendo.
È più difficile invece gestire un colloquio quando c’è palese malafede da parte del collaboratore.
O detto in altre parole, il collaboratore è perfettamente consapevole di non aver raggiunto gli obiettivi fissati ma non intende darvi ragione.
Le sue frasi possono suonare più o meno così: “Non sono d’accordo, sono bravissimo a gestire i clienti” oppure “Non è colpa mia se i sistemi sono lenti” o ancora “Nessuno mi aveva mai detto che avrei dovuto agire in altro modo”.
In queste situazioni la soluzione migliore è quella di non prestarvi al gioco di rimpallo che la risorsa vi propone.
Utilizzate la tecnica del disco rotto “tu dichiari di essere bravissimo a gestire i clienti nonostante io abbia ricevuto delle lamentele scritte proprio da clienti insoddisfatti del tuo servizio”.
Chiedete al vostro collaboratore: “Se ci fosse una cosa che vorresti modificare del tuo comportamento, quale sarebbe?” Questa domanda potrebbe penetrare la sua corazza.
Ma se dopo 15 minuti non avete ottenuto la minima apertura da parte del vostro collaboratore è il momento di chiudere la conversazione sottolineando che le evidenze supportano il vostro giudizio.
Offrite al collaboratore di pensarci su per un paio di giorni e poi confermate il vostro giudizio finale.
Questo approccio può sembrare radicale ma dovete a voi stessi e al resto della squadra, la fermezza con cui gestirete il collaboratore riottoso.
Se saprete gestire le vostre emozioni e quelle dei collaboratori, diventerete più efficaci nel vostro ruolo e aumenterete la stima e la fiducia che le vostre risorse hanno nei vostri confronti.
E l’assegnazione degli obiettivi per l’anno nuovo sarà più semplice e meglio condivisa.