Reinventarsi a 50 anni

Mi ci sono voluti due anni per dar forma al mio sogno e allinearlo ai miei valori; nessuna delle mie gravidanze è durata così tanto! Durante un corso di leadership a cui partecipai nel 2004, mi venne chiesto di scrivere la “mia storia del futuro”. Allora immaginai che entro dieci anni sarei stata un Executive Coach ed avrei avuto la mia scuola di Coaching.

Poi la vita si mise in mezzo. Fui promossa, cambiai città, mi risposai e trovai il mio posto in azienda. Di tanto in tanto mi accadeva di pensare al mio sogno, di solito quando le cose si facevano complicate al lavoro. Mentre ero occupata a vivere la vita che avevo scelto per me stessa, il sogno a piano a piano svanì.

Fino a due anni fa. Già da un po’ il lavoro non mi soddisfaceva più, non riuscivo a trovare un senso in quello che facevo. Lottavo per allinearmi alla visione aziendale e ai comportamenti, sempre più comuni tra i leader, di sminuire i dipendenti, che contribuiva al senso di sfiducia che aleggiava in molti team.

L’azienda per cui lavoravo si era trasformata in un mostro conosciuto che non potevo e non volevo combattere. Oppure era cambiato qualcosa dentro di me?

Intrapresi una crociata per scoprire che cosa stesse succedendo. Appena ne avevo l’occasione condividevo le mie osservazioni e opinioni con dipendenti e pari grado di altre aziende o industrie. Le risposte erano sorprendentemente facili da categorizzare: le persone di 50 anni o più, si sentivano più o meno come me; quelle più giovani in qualche modo avevano fatto pace con il nuovo paradigma e si erano adattate meglio al nuovo ambiente.

Mi dissi che dovevo essere io a adattarmi alla nuova situazione. Nel corso degli anni mi ero sempre riconosciuta la capacità di essere flessibile, resiliente e in grado di gestire qualsiasi cosa il destino mi riservasse. Alla fin fine, avevo gestito un divorzio, cresciuto tre figli di successo e contemporaneamente fatto carriera!

Tuttavia, più cercavo di integrarmi, meno ci riuscivo. Per la prima volta nella mia carriera facevo fatica ad alzarmi al mattino e quando ero al lavoro contavo i minuti che mi separavano dal rientro a casa. Mi mancava uno scopo, la sensazione di contribuire, che molto poco avevano a che fare con un’altra promozione o un aumento di stipendio. Sentivo di aver tanto da dare alle nuove generazioni, tuttavia, tutto quello che mettevo in atto non riusciva a soddisfare quel bisogno.

L’ordine di scuderia in azienda era di “liberarsi” delle “vecchie ciabatte” e di investire nella generazione successiva, o ancora meglio, “saltare una generazione”. È giusto e salutare equipaggiare le nuove generazioni con le competenze che saranno richieste nel futuro ma spesso il motivo che anima tante aziende è molto meno nobile. Le aziende spesso investono nei giovani perché li possono pagare meno, questa è la cruda verità. In effetti, sono stata testimone di burn out tra i nuovi assunti o i neopromossi, solo perché nessuno si era preso la briga di verificare se fossero pronti per il passo successivo!

Non sto dicendo che le aziende dovrebbero investire nella popolazione più senior. Lo capisco, costiamo di più, probabilmente abbiamo problemi familiari – ad esempio dobbiamo curarci degli anziani – o qualche acciacco, che ci rendono meno disponibili per viaggiare per lavoro, fare straordinari la sera o nei fine settimana. Non di meno, la situazione in Europa riguardo all’età pensionabile, è tale per cui, anche se abbiamo già 35 anni di contributi, ce ne restano almeno altri 7 o 10 da passare al lavoro. Mi chiedo: le aziende potrebbero trovare un modo per sfruttare al meglio questi ostaggi involontari? Potrebbero usare i più senior per ottenere il massimo del potenziale dalla nuova generazione, invece di liberarsi di loro usando coercizione e mobbing?  Potrebbero immaginare di far condividere posizioni rilevanti, in modo che la persona più esperta agisca da mentore di quella meno esperta?

Per mesi queste domande sono girate nella mia testa finché ho capito che, se non avessi potuto influenzare l’ambiente, avrei potuto fare qualcosa che dipendeva totalmente da me!

Potevo decidere di fare la differenza, di lasciare un segno. E all’improvviso il sogno di diventare il capo di me stessa era a portata di mano. Qualcosa era cambiato dentro di me; smisi di lamentarmi, di commiserarmi e di accusare le “grandi aziende cattive”. Dovevo ancora lavorare sul mio mindset. Dopo 30 anni da dipendente, il cambiamento più significativo era interno: volevo crearmi una nuova identità come libera professionista e abbracciare l’incertezza che ne deriva.

È un processo ancora in corso. Talvolta mi sveglio nel cuore della notte e mi chiedo: “Sarò in grado di far percepire ai miei clienti il valore che posso dare loro? Riuscirò a mantenermi? Avrò abbastanza clienti da mantenere il mio stile di vita?” Queste domande possono sopraffare ma mi hanno aiutato a capire che cosa di unico posso offrire e quali talenti posso mettere al servizio dei miei clienti.

Ancora più importante, le mie profonde riflessioni mi hanno connesso a quello scopo a cui tanto agognavo, hanno dato significato a quello che faccio. Mi sveglio ogni mattina con un sorriso e quando aiuto le persone o i team attraverso il coaching, sento di aver trovato il mio posto nel mondo.

Il mio percorso mi ha insegnato a guardare dentro di me, invece che fuori; a cercare il mio approccio distintivo alla vita. Non c’è una ricetta che va bene per tutti; siamo diversi anche se siamo più simili di quanto pensiamo.

Trovate la vostra voce unica e fatela sentire. Se accogliete l’ignoto ed entrate in territori inesplorati, in qualche modo, lungo la strada, troverete come procedere. E probabilmente vi divertirete pure, anche se forse ne sarete consapevoli solo una volta arrivati.

Condivido la mia esperienza per risollevare gli animi di quelli che si sentono bloccati, che credono che la società non abbia più bisogno di loro. C’è speranza, dopo il primo passo.

Claudia Cerna

Dal 2006 opera con CEO, Direttori, individui e team per aziende italiane e internazionali nell’area del cambiamento individuale e organizzativo, trasformazione, abilità interpersonali, intelligenza emotiva, sviluppo di competenze di leadership e change management. Claudia ha completato il suo training di facilitazione e coaching con il Teleos Leadership Institute, Philadelphia (PA) ed è certificata come Professional Certified Coach dalla International Coach Federation (ICF). Ha studiato l’intelligenza emotiva, la leadership risonante, le costellazioni sistemiche. La sua energia, entusiasmo e professionalità creano un ambiente nel quale gli Executive e i Leader si sentono liberi di sperimentare nuovi comportamenti e sono facilitati nel cambiamento.